VERBANIA - 10-06-2020 -- Come praticante era stata radiata dall’Ordine ma, qualificandosi (a un collega e al giudice) come avvocato -o, meglio, “advocat”, titolo che spetta a chi consegue l’abilitazione all’estero-, s’era presentata al Tribunale di Verbania discutendo una causa civile. Era il 9 dicembre del 2016 il giorno in cui Sonia Pirovano, già praticante legale sulla piazza di Borgomanero, trattò, per conto di un rubinettaio del Cusio, l’opposizione a un decreto ingiuntivo presentato da un’altra ditta.
La causa ebbe sorte avversa per l’imprenditore che, per una questione giuridica, si vide dichiarare inammissibile l’opposizione. Fu costretto a pagare ma, pensando di non essere stato assistito al meglio, presentò un esposto all’Ordine e alla Procura.
È nata così l’inchiesta che ha portato Pirovano a processo -con condanna in primo grado- per esercizio abusivo della professione e falsa attestazione della propria identità a un pubblico ufficiale. Nell’indagare, infatti, la polizia giudiziaria scoprì che la professionista, già condannata per un reato simile, era stata radiata due mesi prima dall’Ordine degli avvocati di Novara, dove era registrata come praticante. Gli atti di quella causa civile portavano la firma di un avvocato di Roma che, sentito come testimone, disse di non saper nulla dei guai della collega, che aveva trovato su internet e di cui s’era servito in passato come domiciliataria per cause in Piemonte.
Spiegò che quel cliente glielo aveva portato lei, presentandogli gli atti già pronti. Disse di non poterlo rappresentare per ragioni personali e, per questo, chiese a lui di figurare come legale.
Oggi Pirovano, difesa dall’avvocato Giuseppe Ruffier, è stata condannata dal giudice Donatella Banci Buonamici per entrambi i capi di imputazione a un anno e due mesi. È la pena chiesta dal pm Anna Maria Rossi, che non ha riconosciuto all’imputata le attenuanti generiche, sia perché non s’è mai presentata al processo, sia perché ha un precedente per lo stesso fatto, motivo che fa ritenere che il comportamento sia doloso. Secondo la difesa, al contrario, s’è trattato di un errore in buona fede.